Leggendo le uniche dieci storie di Aztek, recentemente ristampate in un unico volume dalla Planeta de Agostini, una domanda prende il sopravvento e si ripete per tutte le tavole mentre vengono sfogliate: ma come diavolo l’hanno conciato sto poveretto?
Non c’è da stupirsi se la serie è stata chiusa fin troppo presto per le scarse vendite, io stesso ci ho pensato un bel po’ prima di mettere mano al portafogli per accaparrarmi quest’opera.
Questo perché Aztek è uno dei supereroi dall’aspetto peggiore di sempre.
Fate voi:

"too weird", pure troppo
Uno stile che per descriverlo non sono sufficienti neanche le metafore e i paragoni più arditi. Forse giusto l’architettura di certe discoteche che sfiorano il bordello riesce ad avere la stessa mancanza di gusto.
Eppure è palese, le dieci storie che compongono il breve ciclo di Aztek sono splendide.
Scritte a quattro mani da un Grant Morrison in formissima e un Mark Millar quasi esordiente, bastano questi due nomi a prendere questo volume a scatola chiusa.
Le vicende narrate sono violente, sordide, notevoli nell’indicare come l’eroe non sempre riesce a tenere fede alla sua missione, ambientate in una Vanity city (creata apposta per l’occasione) al cui confronto Gotham city è un villaggio vacanze delle Baleari.
Però resta sempre quell’aspetto, quell’elmo con le punte, quella tutina ridicola e quei dischi dorati che urlano “PACCHIANO!” a ogni vignetta.
Nonostante questo Aztek è una lettura assai piacevole e divertente, un compendio di idee frenetiche e di dialoghi rapidi e ben congegnati, tanto da riuscire a superare lo shock di avere a che fare con un protagonista che se la batte in bruttezza con l’uomo ragno rossodorato con le ghette del periodo “Civil war”.